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L’ultimo spartano crollò a mezzogiorno.
Era il re spartano da cinque anni e aveva conquistato la Grecia. Dei trecento il più giovane e robusto, e il più agguerrito. Lo amavano quanto una madre può amare un figlio: in poche parole lo amavano con il cuore.
Risalirono la collina di una vasta zona, guerriero e guerriero, camminando fianco a fianco. In cima si fermarono, guardarono avanti, e quello che videro fu un altro esercito e con quello altri mille. E fu come se nel re si accendesse un fuoco. Gli spartani alzarono gli scudi, poi alzarono le lance. Leonida si accovacciò in cima alla collina come un monumento, fissando il nemico con l’indifferenza di chi muore. L’uomo tirò la lancia, il comandante persiano alzò la testa e rizzò il collo, ma non si alzò. Il re leonida si mise a colpire i nemici, più forte che poteva, tre o quattro volte. Infine prese una spada ricurva, affilata come un rasoio, e gliela conficcò nel cuore del comandante persiano. Dalla ferità usci sangue, ma il persiano non alzò nemmeno le palpebre semichiuse. Leonida capì quel che stava facendo. Il corpo dell’invasore aveva cessato di funzionare, come un’ automobile priva di carburante. Leonida però stava vedendo i suoi uomini crollare senza vita al limite delle energie, circondati dall’esercito nemico che si faceva sempre più avanti, troppo numeroso da combattere.
Avrebbe potuto tentare due altri espedienti. Uno era di combattere per la sua Sparta, fino a che l’ultimo spartano non si sentisse morire, l’altro era di ritirarsi, con l’orgoglio sotto i piedi. Ma non poteva abbandonare e lasciare Sparta, e per di più nessuno dei due metodi aveva grandi probabilità di successo. Era ora di combattere comunque.
Il sole era alto e cocente.
Era il re spartano da cinque anni e aveva conquistato la Grecia. Dei trecento il più giovane e robusto, e il più agguerrito. Lo amavano quanto una madre può amare un figlio: in poche parole lo amavano con il cuore.
Risalirono la collina di una vasta zona, guerriero e guerriero, camminando fianco a fianco. In cima si fermarono, guardarono avanti, e quello che videro fu un altro esercito e con quello altri mille. E fu come se nel re si accendesse un fuoco. Gli spartani alzarono gli scudi, poi alzarono le lance. Leonida si accovacciò in cima alla collina come un monumento, fissando il nemico con l’indifferenza di chi muore. L’uomo tirò la lancia, il comandante persiano alzò la testa e rizzò il collo, ma non si alzò. Il re leonida si mise a colpire i nemici, più forte che poteva, tre o quattro volte. Infine prese una spada ricurva, affilata come un rasoio, e gliela conficcò nel cuore del comandante persiano. Dalla ferità usci sangue, ma il persiano non alzò nemmeno le palpebre semichiuse. Leonida capì quel che stava facendo. Il corpo dell’invasore aveva cessato di funzionare, come un’ automobile priva di carburante. Leonida però stava vedendo i suoi uomini crollare senza vita al limite delle energie, circondati dall’esercito nemico che si faceva sempre più avanti, troppo numeroso da combattere.
Avrebbe potuto tentare due altri espedienti. Uno era di combattere per la sua Sparta, fino a che l’ultimo spartano non si sentisse morire, l’altro era di ritirarsi, con l’orgoglio sotto i piedi. Ma non poteva abbandonare e lasciare Sparta, e per di più nessuno dei due metodi aveva grandi probabilità di successo. Era ora di combattere comunque.
Il sole era alto e cocente.
SPETTACOLO W IB
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