caricatura a cura dell'artista Marco Testini (mio ex alunno)

lunedì 22 novembre 2010

TRATTO DAL CODICE REBECCA DI KEN FOLLET (I TEMPI NARRATIVI)

L'ultimo cammello crollò a mezzogiorno.
Era il maschio chiaro di cinque anni che aveva acquistato a Gialo. Dei tre, il più giovane e robusto, e il meno bizzoso. Lo amava quanto un uomo può amare un cammello: in altre parole, lo odiava con moderazione.
Risalirono il lato sottovento di una duna, uomo e cammello, sprofondando nella sabbia. In cima si fermarono. Guardarono avanti, e quello che videro fu un'altra duna, e oltre quella altre mille. E fu come se nel cammello si spegnesse ogni speranza. Gli si piegarono le zampe anteriori, poi crollarono quelle posteriori. Si accovacciò in cima alla duna come un monumento, fissando il deserto con l'indifferenza di chi muore. L'uomo tirò le briglie. L'animale sollevò la testa e rizzò il collo, ma non si alzò. L'uomo gli si mise dietro e gli tirò calci sui fianchi, più forte che poteva, tre o quattro volte. Infine prese un coltello ricurvo da beduino, affilato come un rasoio, e glielo conficcò nella groppa. Dalla ferita uscì sangue, ma il cammello non alzò nemmeno le palpebre semichiuse
L'uomo capì quel che stava accadendo. Il corpo dell'animale, i suoi tessuti privi di nutrimento, avevano cessato di funzionare, come un'automobile priva di carburante. Aveva visto altri cammelli crollare in quel modo al limitare di un'oasi, circondati da foglie dispensatrici di vita cui non avevano badato, troppo spossati per mangiare.
Avrebbe potuto tentare due altri espedienti. Uno era di versargli acqua nelle narici, fino a che la bestia non si sentisse soffocare, l'altro era di accendergli un fuoco sotto i fianchi. Ma non aveva né acqua né legna da sprecare, e per di più nessuno dei due metodi aveva grandi probabilità di successo. Era ora di fermarsi, comunque. Il sole era alto e cocente.



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